Emirates Team New Zeland ha vinto, hanno vinto i più forti, i neri di Grant Dalton, del “loyal” Dean Barker, la corazzata neozelandese affidabile, concentrata, cattiva quanto basta, organizzata sugli elementi chiave di una sfida pazzesca come questa America’s Cup numero 34, con barche mostruose sconosciute anche ai loro inventori. Una lunga strada, e le ultime curve fatte insieme allo sfidante alleato, gli amici italiani di Luna Rossa, i Bertelli boys entrati nel gioco all’ultimo istante proprio grazie all’accordo con ETNZ. Sette a uno (e l’unico punto di Luna Rossa è venuto dal ritiro della barca nera per una rottura) che non ammette discussioni tecniche e infatti non se ne fanno, ad eccezione di dare atto a Max Sirena e a tutto il team di Luna Rossa, ben consapevole di avere un mezzo “vecchio” contro uno nuovissimo, di aver continuato a lavorare fino all’ultimo secondo migliorando incredibilmente le performance, le manovre, l’affidabilità, anch’essi scoprendo giorno dopo giorno quello che c’era da scoprire sulle macchine volanti AC72.
Perché una cosa va detta, adesso che Luna Rossa e la sfida targata Circolo della Vela Sicilia lasciano la scena al match finale che vale la conquista del trofeo. Si è molto polemizzato e criticato – con ampie e condivisibili ragioni – sull’estremizzazione di questa Coppa e sulle barche scelte. La fine del match race e dello spettacolo tattico e velico che rappresentava, la fine della vela più romantica a beneficio della velocità in quanto tale. Dove le macchine e gli strumenti contano più degli uomini. I rischi e i pericoli, purtroppo materializzatisi nel più atroce degli incidenti costato la vita a un grande velista. I costi che hanno ridotto l’evento a un briciolo di partecipanti. Tutto vero, e presto speriamo che la Coppa volti l’ennesima pagina e riprenda un po’ del suo splendore. Ma il punto da sottolineare è questo.
Pur con tutti i difetti appena elencati, la classe AC72 era e resta una imbarcazione a vela impegnata in regate. Chi s’è iscritto al gioco sapeva questo, e basta. C’era da progettare, costruire, armare e far correre questa “barca”, conoscendone e svelandone i misteri, per trarne il massimo nei termini marinareschi di sempre: velocità e manovrabilità. In questo Aotearoa e Luna Rossa non sono diverse dalla goletta America, o dal Courageous, o da Azzurra o da Stars & Stripes o da Alinghi… E quegli obiettivi, alla fine, li raggiungono gli uomini: i marinai e prima ancora i progettisti, gli ingegneri, i costruttori, i maestri d’ascia come chi sceglie le miscele di titanio per una vite.
Se si accetta questa visione, l’arrivederci a Luna Rossa si arricchisce anche di un “grazie” e soprattutto di grande rispetto per quanto hanno saputo creare. Arrivati due anni dopo alla sfida, sapendo che avrebbero avuto a disposizione un solo mezzo, lo hanno preparato, custodito, manutenuto, allenato, migliorato, reso splendente nel suo argento vincendo ancora una volta (e di gran lunga) la Coppa dello stile (e da Prada è il minimo), dotato di armi sempre diverse, le derive curve, i foil, e un mare di altre cose. La barca Luna Rossa e i marinai italiani hanno fatto più strada in questa Coppa America sperimentale, di altre nazioni e altre sfide. Più dei francesi, il popolo più catamarano del mondo, assente alla Coppa dei catamarani. Più dei cinesi e dei coreani, le economie emergenti che non hanno saputo rendere economica una sfida al trofeo degli uomnini di mare. Più degli inglesi, che dicono “Rules the waves” ma intanto in Coppa non ci arrivano mai. Più degli svedesi ricchissimi e Cayardissimi, affondati nei loro stessi errori e drammi e battuti da una barca col doppio dell’età. E chissà quanto si potrebbe dire che Luna Rossa e i Bertelli boys hanno fatto più persino di Oracle Racing USA, il detentore-defender, impersonato nei “cattivi” Larry Ellison e Russell Coutts, che da una parte ha fatto incetta di supercampioni della vela, al punto da tenere in panchina il numero uno al mondo, Ben Ainslie, e dall’altro ha toppato clamorosamente l’approccio alla nuova barca, mancando l’appuntamento con il foiling “visto” dai kiwi e dagli italiani, rovinando nella celebre scuffia il primo (bruttissimo) AC72, e quindi impegnando risorse incalcolabili, da invasione militare, al gran ritorno, col varo del secondo e la restaurazione del primo, così da averne due catamarani per allenarsi. Oracle resta un mistero, ma per i mezzi che ha messo in campo, l’impressione è che i marinai statunitensi non abbiano avuto le intuizioni e le qualità dei neozelandesi, e forse degli stessi italiani.
Ecco spiegato perché, pur restando tutte le perplessità su questa Coppa che non ha saputo far innamorare i velisti né conquistare nuovi appassionati, l’impresa di Luna Rossa merita un applauso. Ha rappresentato al meglio la vela italiana, è arrivata alla finale della Louis Vuitton Cup, è stata sconfitta duramente ma a testa alta dalla squadra e dalla vela più potente del pianeta. Bravo Max e bravi ragazzi.
Per vincere la trentaquattresima Coppa America di Vela bisogna battere otto volte il proprio avversario. Cosa succederà dal 7 settembre? Come sempre prima di una finale tra due team che non si sono mai incontrati prima, c’è l’incognita della velocità: quale barca è più performante? La semplice risposta a questo quesito potrebbe contenere già la profezia facile sul risultato finale. Poi ci sono le infinite variabili della Coppa. La fragilità di queste barche e quindi le possibili avarie (ma alla lunga, come visto per Luna Rossa, vince comunque chi è più veloce), il vento della baia che a settembre dovrebbe aumentare, per non parlare delle incognite legate alle decisioni della Giuria. C’è in ballo una possibile squalifica per alcuni membri del team Oracle a seguito delle bugie e delle modifiche agli AC45, rischierebbe persino James Spithill. Come si comporteranno Ellison e Dalton?
Potrebbe anche finire tutto in nulla, come l’attesa rivalità Bertelli-Cayard, evaporata al sole di una netta superiorità di Luna Rossa su Artemis. Se una delle due barche, ETNZ o USA17, dovesse essere nettamente superiore all’altra, forse la Coppa finirà presto, magari anche 8-0, e il perdente sotterrerà l’ascia di guerra per accettare una sconfitta inevitabile. Se invece le barche dovessero essere vicine, e le regate combattute per davvero, allora a guadagnarci sarà la Coppa stessa, con un po’ di spettacolo almeno nel finale. In questo caso potrebbero tornare a contare gli uomini, e su questo aspetto gli americani sembrano superiori. Attese e domande: ormai basta aspettare il 7 settembre.
America’s Cup, il programma (serie al meglio delle 17 regate: vince il primo a conquistare 8 punti)
• sabato, 7 settembre: Race 1 (13:10 PT, 22.10 ora italiana), Race 2 (14:10 PT, 23.10 ora italiana)
• domenica, 8 settembre: Race 3 (13:10 PT, 22.10 ora italiana), Race 4 (14:10 PT, 23.10 ora italiana)
• martedì, 10 settembre: Race 5 (13:10 PT, 22.10 ora italiana), Race 6 (14:10 PT, 23.10 ora italiana)
• giovedì, 12 settembre: Race 7 (13:10 PT, 22.10 ora italiana), Race 8 (14:10 PT, 23.10 ora italiana)
• sabato, 14 settembre: Race 9 (13:10 PT, 22.10 ora italiana), Race 10 (14:10 PT, 23.10 ora italiana)
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